camminava piano per le strade del centro cercando di
schivare gli sguardi dei passanti, nel tentativo di ritrovare nella
memoria i nomi di quelle vie. parecchi negozi nuovi qua e là,
edifici venuti su come funghi e un paio di sensi unici capovolti:
urbanisticamente parlando il ritorno alla città natale era tutto
una sorpresa. ma la gente no, quella era sempre la stessa.
invecchiati forse, ingrassati -qualcuno- ma sempre le stesse facce,
i soliti punti di ritrovo, le stesse fin troppo note espressioni.
chi la riconosceva e la salutava, chi no. chi si prodigava in baci,
abbracci, sorrisi e domande, chi -nell'imbarazzo del dubbio-
preferiva fingere di aver da guardare chissà dove. le new entries
del campionario umano agitavano le loro manine gioiose, sedute
placidamente nei passeggini, le neomamme mostravano fiere i prodotti
del loro ventre mentre i neopapà ce la mettevano tutta per assumere
un aspetto efficiente e responsabile sfoggiando la station wagon
nuova di pacco.
dopotutto, mettendo in conto anche le immancabili lamentele sul
quotidiano, l'impressione generale era positiva, di rendimento, di
crescita. aveva già raccolto dritte importantissime sugli
avvenimenti da non perdere e un paio di inviti a cena per la
settimana a venire, tutto il meccanismo metropolitano pareva
funzionare alla perfezione (per un attimo si sentì felice, senza
capirne il motivo). quello che faceva strano era il caldo, per la
stagione. ma ancora più inquietante era la mancanza di vento, e
c'era sempre stato il vento, lì: la sensazione che ne traeva da
quell'insolita assenza era di essere ad un passo dall'apocalisse.
al suono della campana della piazza principale si ricordò della
curiosa usanza dei cittadini di fermarsi e rimanere bloccati fino
all'ultimo dei sei rintocchi, per ricordare i caduti in guerra; era
ora di rientrare. camminando verso casa era già arrivata al ponte,
quello che porta alla stazione, quello che quando aveva quindici
anni in meno percorreva sparata come un razzo con la vespa per
sfruttarne l'improvvisa variazione di pendenza terminale e godere
della sensazione eccitante del vuoto d'aria sotto le gomme. a ovest
il sole era già sotto l'orizzonte di un bel po', non lo vedeva ma
le sembrava quasi di coglierne il profilo luminescente in
trasparenza. a nord polpose nubi provenienti dalla valle languivano
molli sulle colline promettendo pioggia. a sud il mare. ma
niente vento, perché? non riusciva a percepire la città senza il
vento, era come vederla in sogno, anzi le sensazioni che di solito
provava nei sogni erano addirittura più concrete di quelle che
stava sperimentando ora, nel sottovuoto surreale di un tramonto
inspiegabilmente immobile.
c'erano rami d'edera ben saldi sul muro della casetta in riva al
fiume, che poi più che un fiume pareva lo scolo di una vecchia
grondaia, un abbeveratoio per topi. c'era una coda di macchine ferma
al semaforo e qualche automobilista che approfittava dell'attesa per
accendersi una sigaretta e regalare una carezza alla compagna seduta
sul sedile a fianco. c'era il profumo delle caldarroste che si
spandeva prepotente dal vicoletto accanto alla piccola stalla dei
pony di Ramòn. c'era il rumore delle onde, lontano ma presente,
regolare, rassicurante come a rappresentare il perpetuo battito
cardiaco del pianeta. tutto era così intollerabilmente perfetto nei
suoi contrasti bilanciati fra chiari e scuri, e lo sarebbe stato
comunque, con o senza di lei. l'impressione di mancata appartenenza
si fece d'improvviso insopportabile: non più, non così.
"io non sono qui" pensò e tutt'a un tratto sparì,
sfumando nei colori del crepuscolo. nessuno se ne accorse.
by ittica 2001
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