aveva gli occhi azzurri, luminosi
come un display a cristalli liquidi. la sua metà di bambino giocava
ancora con le macchinine, quella di uomo giocava a scacchi. passava
buona parte della sua giornata immaginare le cose che avrebbe potuto
fare e poi tutta la notte a rammaricarsi di ciò che non aveva
fatto. nel suo petto batteva un creativo cuore di regista: filmava
il presente in tempo reale per poi ribaltarlo come una frittella con
un editing selvaggio, usando tutti i filtri a sua disposizione. non
amava le cose semplici, il suo stile era drammaticamente barocco,
tendente al paranoico post-fregatura. per questo motivo non gli
piacevo: io -allora- ero di uno squisito minimalismo, senza nessun
tipo di effetti. e dire che ci ha provato più volte a riprendermi, ma
risultavo sempre sbollata o fuori fuoco o in qualche prospettiva
antipatica. non avrebbe saputo come montarmi per inserirmi nei suoi
cortometraggi di poco futuro senza avvertire un fastidioso senso di
asincronia interiore. certo, erano altri tempi, ed io non capivo.
non ero buona a recitare, sapevo solo essere me stessa. a lui devo
la mia educazione e il mio successo, lui mi ha insegnato tutto.
spesso mi chiedo cosa lo abbia spinto a scegliere proprio me che non
promettevo niente di buono, ma la
risposta sta tutta nella frase "perché star bene quando si
può soffrire?" ...e poi -detto fra noi- cosa ci si può aspettare
da uno che è separato dalla follia solo da una vocale?
oggi siamo una coppia vincente, la sua regìa
non mi riserva sorprese, la mia recitazione non gli procura allarmi:
appena inizia a girare so già come devo muovermi per compiacere alla
sua direzione. nel tempo libero giochiamo a scacchi, oppure
fissiamo i monitors in silenzio, io lui e l'aria condizionata. non
abbiamo bisogno di parlare, infatti non lo facciamo mai.
by ittica 2003
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